giovedì 1 maggio 2014

La storia dell'imprendibile Picchio Verde e del fotografo (im)paziente.

Riuscire a fotografare il Picchio verde era una sua fissa. Da anni.
Ma il tempo non bastava mai, c'era sempre un intoppo che gli impediva di appostarsi vicino a quell'albero osservato tante volte. E quando gli riusciva di farlo, era sempre per poco, troppo poco tempo.
Lo aveva avvistato in volo tante volte, conosceva alcune zone che frequentava, aveva fotografato il Rosso Maggiore, durante una nevicata in pieno inverno, e in tutte le altre stagioni dell'anno. A volte bene, altre meno bene.

Ma non gli bastava, voleva il Verde.

Lo aveva intravisto, in mezzo al folto dei rami, arrampicarsi fino lassù, sull'antico albero di cachi piantato da suo nonno più di ottant'anni prima, macchia verde vivo in mezzo a macchie rosse e  grigie, a becchettare gli ultimi frutti prima che la neve e il gelo li distruggessero irrimediabilmente.
Si era ripromesso di sfrondare il vecchio nodoso caco, togliere quei rami che impedivano di vedere bene, dietro i quali il Verde si celava, come se lo facesse apposta, facendosi beffe dei tentativi del fotografo.




La frustrazione aumentava, ammirava sulle riviste e sui siti internet del settore splendide immagini, riprese con una luce bellissima, con colori meravigliosi e da distanze ravvicinatissime. Ma quelli erano fotografi professionisti, cosa poteva fare lui, semplice appassionato sempre a contare il poco tempo che poteva dedicare alla fotografia naturalistica.

L'ultimo inverno si era nascosto nel capannino, vicino al caco, dopo averne pulito le fronde intorno a una delle ultime grosse palle rosse rimaste, e aveva passato una intera rigida domenica di gennaio,  seduto immobile ad aspettare, senza mai uscire, combattendo il freddo, che iniziava a salire dalle gambe in su, con sorsate di caffè caldo dal termos che si era portato da casa.
Alla sera, guardava desolato alcune delle poche foto che aveva scattato per ingannare il tempo.
Si trattenne dal cancellarle, dopotutto anche un merlo ripreso al tramonto in controluce ha una sua dignità, e che diamine!


Passarono le settimane, arrivò la primavera,  insieme all'Airone rosso, alla Sterna, al Cavaliere d'Italia, al Cuculo.
Aveva osservato i movimenti di un altro Picchio, non quello che aveva atteso durante tutto l'inverno, un altro, ed era certo che tutti quegli andirivieni potevano significare una cosa sola: nido nelle vicinanze. Ovviamente del nido in sè non gli importava nulla, non voleva nemmeno sapere in che albero preciso si trovasse, temeva di rovinare la covata, ma sapere che la zona era quella giusta lo rinfrancava. Per di più, era in una zona dove si recava spesso a fotografare uccelli acquatici, e quindi, forse, avrebbe preso due piccioni con una fava.

Quel giorno era intento a riprendere aironi, un Airone Rosso si era appena posato dietro un canneto e lui attendeva che ne uscisse, anche se sapeva che avrebbe potuto rimanere nascosto per ore senza involarsi.
La zona periferica dell'occhio registrò un movimento improvviso, una specie di lampo verde, poco più in basso della sua postazione.
Girò il capo e lo vide. Era a non più di 6 metri, con gli artigli stretti intorno a una canna lacustre.
Ed era bellissimo. Un maschio, con la caratteristica barra rossa sotto il becco.
 E stava guardando lui.
Tutto avvenne in una manciata di secondi, il tuffo al cuore, il battito cardiaco accelerato.
"Non avere mai fretta di scattare, aspetta", gli avevano insegnato, ma quelle parole non gli attraversarono nemmeno per un istante il cervello.
Ruotò di pochi gradi il teleobiettivo, inquadrò e premette il pulsante. Il rumore dell'otturatore venne avvertito dal Picchio, che si involò. Ma lui riuscì a fargli quattro scatti. Solo quattro.









Tornando a casa si sentiva ancora agitato ed emozionato, pensava a quanto tempo era durato tutto, 4 scatti a otto foto al secondo fanno mezzo secondo, più forse un altro secondo o due dal momento in cui lo aveva visto. Due secondi di estasi allo stato puro.
Alla sera rivide le immagini. e decise che le avrebbe fatte stampare. Anche se non erano da National Geographic, anche se non avevano un bello sfondo e l'ultima  aveva le punte delle remiganti tagliate, perchè era davvero vicino.
Curioso come tutte le frustrazioni, le fatiche, le ore spese in appostamento, fossero state spazzate via, cancellate, dimenticate.
In due secondi di estasi.


L'idea di scrivere questa storia (vera) mi è venuta leggendo un articolo di Valerio Brustia in cui l'Autore parla di una vecchia quercia secca e della possibilità di fotografare magari il picchio verde. 
Gli faccio i migliori auguri di riuscire nel suo intento.
Queste sfide non finiscono mai, a me poi è rimasto quel chiodo fisso di fotografare il Verde sul mio albero di cachi. Prima o poi...

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