giovedì 29 maggio 2014

Seminario con Lukasz Toczylowski



Sabato 24 maggio la palestra dove mi alleno, la “Evolution Wellness Club” di Mondovì, ha organizzato un interessante seminario con il powerlifter ed ex-campione del mondo di specialità, Lukasz Toczylowski.








da sinistra: Mirella Cotella, Roberto Calcagno, Alessandro Pellegrino e Lukasz....


Lucasz da anni vive nel nostro Paese dove svolge la professione di cuoco, e nel tempo libero coltiva la sua grande passione del powerlifitng (alzate di potenza), specialità nella quale ha conseguito diversi titoli mondiali.
Alto 178 cm., e pesante ben 140 kg., Lucasz si è rivelato di una spontaneità e di una simpatia non comuni e si è dimostrato un atleta serio e preparato alla perfezione, deliziando il pubblico con dimostrazioni della sua grande forza e della sua tecnica perfetta.

Ha poi invitato gli atleti presenti a provare la distensione su panca, esercizio analizzato nel seminario (naturalmente a bilanciere scarico!), correggendo i difetti di ognuno e mostrando la postura corretta nonché alcuni “trucchi” del mestiere.
Non sembra vero come solo spostando la posizione dei piedi al suolo di pochi centimetri si riesca a sollevare un carico maggiore, a parità di sforzo.

L’atleta polacco ha eseguito comunque una performance di tutto rispetto, arrivando a sollevare 200 kg. per 5 ripetizioni lasciando di stucco tutti noi per la facilità con cui ha portato a termine la prova.

Lucasz era accompagnato dal preparatore Carlo Bottazzi, che è intervenuto diverse volte con approfondimenti tecnici molto apprezzati dal pubblico presente.





Un grazie va allo staff della Evolution, ad Andrea Vigna direttore tecnico e ai proff. Mirella Cotella e Roberto Calcagno per l’organizzazione dell’evento., con la speranza di vederne presto un seguito.

martedì 27 maggio 2014

La Ghiandaia marina

La Ghiandaia marina (Coracias garrulus) è un uccello appartenente alla famiglia dei Coraciidi.

Le fotografo spesso, centinaia di scatti, se non migliaia, ogni primavera. E ho deciso di scriverci su alcune righe.


Ho scoperto diverse cose interessanti su questa specie, per esempio che sono piuttosto confidenti  verso chi non le disturba, naturalmente hanno una loro distanza di fuga ma muovendosi con cautela e calma si possono avvicinare, con l’auto non risulta molto difficile, a patto di rispettare alcune semplici regole quali evitare accelerazioni e frenate troppo brusche, mascherare il finestrino da cui si fotografa con un pezzo di rete mimetica, evitare di sporgere troppo in fuori il teleobiettivo, tenere spenti i fari.
E naturalmente evitare di avvicinarsi troppo.

Passano tutto il giorno impegnate a procurarsi il nutrimento, come è naturale, privilegiando come posatoi i rami degli alberi, anche se spesso scendono su rami molto bassi, cespugli, steli di graminacee, e non di rado passeggiano al suolo in cerca di cibo.





Hanno abitudini simili alle ghiandaie nostrane, ed Il loro nutrimento è costituito da insetti, grossi grilli, cicale, mosche, bruchi.

Il loro volo è piuttosto breve, ma elegante, in questi  momenti si nota tutta la bellezza del loro piumaggio.





Concludo con una raccomandazione: negli ultimi anni sto assistendo a una vera e propria presa d’assalto da parte dei fotografi di un sito dove alcune coppie di ghiandaie marine sostano per alcuni giorni prima di dedicarsi alla costruzione del nido. La presenza antropica è sempre elemento di disturbo per tutte le specie animali, e questo caso non fa eccezione. Il comportamento di alcuni fotografi è assolutamente disdicevole, non solo abbandonano le strade avventurandosi in improbabili percorsi fuoristradistici ma “puntano” letteralmente il volatile con partenze fulminee e accelerazioni rumorose. 
Ho visto anche quattro o cinque auto circondare la “preda” arrecandole un disturbo notevole.
Ricordiamoci che una foto non vale lo spavento di un animale.
Senza contare che il risultato di simili comportamenti è disastroso: le ghiandaie dopo un po’ si sentono minacciate e se ne vanno a nidificare in un’altra zona più tranquilla.
A buon intenditor, poche parole…

sabato 10 maggio 2014

Galapagos. Le isole di Darwin.




Su queste isole è stato scritto praticamente tutto, pertanto questo mio resoconto le descriverà dal punto di vista fotografico, cercando di fornire informazioni pratiche di ripresa e descrivendo come il sottoscritto ha cercato di immortalare quello che si è trovato di fronte.
Innanzitutto, qui, forse più che in ogni altro luogo al mondo, si possono fotografare animali selvatici senza necessariamente doversi armare di enormi tele da trasportare faticosamente sul campo, ma in molti casi uno zoom tele come 80-200 o 70-200, 70-300 possono essere sufficienti per la maggior parte delle riprese.
Io raccomando nei limiti delle proprie possibilità, un buon 300 mm focale fissa ( non necessariamente un 2,8 anche l'f4 risulterà eccellente data l'ampia disponibilità di luce), col quale (f 2,8) ho realizzato la maggior parte delle foto di questo articolo. Se si vogliono riprendere uccelli in volo o in picchiata nel mare, bisognerà dotarsi di un 500 mm. ma dato che le escursioni si snodano lungo sentieri predisposti risulta frequentissimo osservare animali a pochi metri ( a volte pochi cm) di distanza.

Suddividerò questo articolo in brevi capitoli aventi per titolo il nome di una specie particolarmente diffusa.

1) I RETTILI: LE IGUANE.

Si dividono in due grandi gruppi: marine e terrestri.
Più piccole snelle e di colore brunonerastro le prime, molto più grandi, tozze e di colori caldi le seconde.
Chi ha la ventura di recarsi nell'arcipelago che affascinò C.Darwin, coltiva grandi aspettative in termini di avvistamenti di specie animali.
Su queste isole è praticamente matematico imbattersi in decine e decine di specie differenti, senza nemmeno uscire (peraltro vietatissimo!!!) dai sentieri predisposti dai guardiaparco che, inutile dirlo, sono severissimi (sulle isole è perfino, e fortunatamente, vietato fumare).

Se l'animale simbolo dell'arcipelago ecuadoriano è sicuramente la tartaruga, l' iguana è però l'animale più curioso e sul quale si accentra l'attenzione dei visitatori; ne esistono poche varietà, tutte abbastanza facilmente individuabili e tranquillamente fotografabili anche senza l'uso di grossi e pesanti teleobiettivi.

Vediamone le principali varietà:
1) Iguana terrestre: ve ne sono due, Conolophus subcristatus e Conolophus Pallidus. Quest'ultima la si trova solo sull'isola di Santa Fe'.

A differenza delle iguane marine le terrestri raggiungono dimensioni maggiori (lunghezza oltre il metro e peso che raggiunge e supera i 13 chilogrammi), hanno una colorazione che va dal giallo bruno al marroncino chiaro. Sono essenzialmente vegetariane e si nutrono di frutti di cactus integrando la dieta con altre piante e insetti.
Uno scatto che ritrae il primo tipo, Conolophus subcristatus:

300 AF F2.8 su D200, 1/60 sec., f8, 100 ISO, cavalletto.

Ed ecco il Conolophus Pallidus, ripreso con 80-200 afd.









2) Iguana marina (Amblyrhynchus cristatus ) di dimensioni molto contenute rispetto alle sue cugine terrestri, il suo colore ? bruno molto scuro tendente al nerastro.
riporto una frase che Darwin scrisse nei suoi diari:

"The rocks on the coast abounded with great black lizards, between three and four feet long;It is a hideous-looking creature, of a dirty black colour, stupid, and sluggish in its movements "(Darwin, 1845).
Si nutre quasi esclusivamente di alghe, e la densità di popolazione rasenta le 3000 unità per chilometro di costa.


D200, 300 AFD f2,8 su treppiede.


2) GLI UCCELLI
Il falco delle Galapagos (Buteo galapagoensis) è rimasto per oltre un'ora appollaiato su queste rocce, l'ho ripreso col 300 mm non duplicato, riuscendo ad avvicinarmi davvero molto senza che il soggetto si scomponesse più di tanto. Per la cronaca, siamo passati oltre e mi sono voltato più volte….era sempre lì. In serata leggendo in cabina la mia guida appresi che..."where they occur, these birds will come and investigate visitors, often approaching within a few yards" .




Questo esemplare di Yaboa (Nycticorax violaceus) sembrava piuttosto tranquillo e non offriva spunti interessanti che andassero al di là di una buona foto documentaria, fino a quando ha aperto le ali e si è esibito in questa specie di parata; il 70-200 era troppo lungo e non potevo indietreggiare altrimenti sarei caduto nel vallone lungo il cui crinale si snodava il sentiero, per cui scusate se non posso dare "aria" intorno al soggetto.



La sula zampe azzurre, Sula nebouxi, accudiva i suoi pulcini implumi a pochissimi metri da me, e non sembrava darsi troppo pensiero. Naturalmente ho badato a non disturbarla, comunque non c'è stato bisogno di scomodare il 300, è bastato il 70-200 a mano libera.








Quest'altra aveva invece un pullo più grandicello, già ricoperto di piumini.
 


Sula zampe rosse (Sula sula).



 
e particolare ripreso con 300 f2,8

 
Tortora delle Galapagos (Zenaida galapagoensis), facilmente riconoscibile dal cerchio color azzurro intenso intorno all’occhio, D200 e 300 mm f/2.8.



 
3) I MAMMIFERI: LE FOCHE.
Vi è una e una sola spiaggia in tutto l'arcipelago protetto dove è consentito fare il bagno. E il bagno lo fai in compagnia delle foche che ondeggiano goffamente sulla sabbia a pochissimi metri dai bagnanti.
Ho ripreso questo esemplare giovane con l' 80-200 a 200 mm di focale, 1/125 sec. f5,6 ISO 100.



 
E quest'altro durante l'allattamento con il 300 mm:
 
Simpaticissimi e capaci di buffe espressioni



  4) I RETTILI: LE TARTARUGHE , Geochelone elephantopus (Galapago in spagnolo)
Qui non c'è davvero molto da aggiungere, sono considerate l'animale simbolo dell'arcipelago.

"These huge reptiles, surrounded by the black lava, the leafless shrubs and large cacti, seemed to my fancy like some antediluvian animals - Darwin, 1845"



 




"The Old George", età indefinita, vive senza una compagna e tutti i tentativi di farlo accoppiare hanno avuto esito fallimentare.


 
Un Paradiso, forse l'Ultimo dei Paradisi, Patrimonio dell'Umanità, minacciato purtroppo da recenti catastrofi ambientali, e anche da un numero di visitatori che incrementa anno dopo anno (il governo Ecuadoregno vi vede una inesauribile fonte di reddito) che consiglio spassionatamente a tutti gli appassionati foto naturalisti (e non...).


 
Nota bibliografica: GALAPAGOS - A natural history (in lingua inglese)
revised and expanded edition
Michael H.Jackson
University Of Calgary Press







giovedì 1 maggio 2014

La storia dell'imprendibile Picchio Verde e del fotografo (im)paziente.

Riuscire a fotografare il Picchio verde era una sua fissa. Da anni.
Ma il tempo non bastava mai, c'era sempre un intoppo che gli impediva di appostarsi vicino a quell'albero osservato tante volte. E quando gli riusciva di farlo, era sempre per poco, troppo poco tempo.
Lo aveva avvistato in volo tante volte, conosceva alcune zone che frequentava, aveva fotografato il Rosso Maggiore, durante una nevicata in pieno inverno, e in tutte le altre stagioni dell'anno. A volte bene, altre meno bene.

Ma non gli bastava, voleva il Verde.

Lo aveva intravisto, in mezzo al folto dei rami, arrampicarsi fino lassù, sull'antico albero di cachi piantato da suo nonno più di ottant'anni prima, macchia verde vivo in mezzo a macchie rosse e  grigie, a becchettare gli ultimi frutti prima che la neve e il gelo li distruggessero irrimediabilmente.
Si era ripromesso di sfrondare il vecchio nodoso caco, togliere quei rami che impedivano di vedere bene, dietro i quali il Verde si celava, come se lo facesse apposta, facendosi beffe dei tentativi del fotografo.




La frustrazione aumentava, ammirava sulle riviste e sui siti internet del settore splendide immagini, riprese con una luce bellissima, con colori meravigliosi e da distanze ravvicinatissime. Ma quelli erano fotografi professionisti, cosa poteva fare lui, semplice appassionato sempre a contare il poco tempo che poteva dedicare alla fotografia naturalistica.

L'ultimo inverno si era nascosto nel capannino, vicino al caco, dopo averne pulito le fronde intorno a una delle ultime grosse palle rosse rimaste, e aveva passato una intera rigida domenica di gennaio,  seduto immobile ad aspettare, senza mai uscire, combattendo il freddo, che iniziava a salire dalle gambe in su, con sorsate di caffè caldo dal termos che si era portato da casa.
Alla sera, guardava desolato alcune delle poche foto che aveva scattato per ingannare il tempo.
Si trattenne dal cancellarle, dopotutto anche un merlo ripreso al tramonto in controluce ha una sua dignità, e che diamine!


Passarono le settimane, arrivò la primavera,  insieme all'Airone rosso, alla Sterna, al Cavaliere d'Italia, al Cuculo.
Aveva osservato i movimenti di un altro Picchio, non quello che aveva atteso durante tutto l'inverno, un altro, ed era certo che tutti quegli andirivieni potevano significare una cosa sola: nido nelle vicinanze. Ovviamente del nido in sè non gli importava nulla, non voleva nemmeno sapere in che albero preciso si trovasse, temeva di rovinare la covata, ma sapere che la zona era quella giusta lo rinfrancava. Per di più, era in una zona dove si recava spesso a fotografare uccelli acquatici, e quindi, forse, avrebbe preso due piccioni con una fava.

Quel giorno era intento a riprendere aironi, un Airone Rosso si era appena posato dietro un canneto e lui attendeva che ne uscisse, anche se sapeva che avrebbe potuto rimanere nascosto per ore senza involarsi.
La zona periferica dell'occhio registrò un movimento improvviso, una specie di lampo verde, poco più in basso della sua postazione.
Girò il capo e lo vide. Era a non più di 6 metri, con gli artigli stretti intorno a una canna lacustre.
Ed era bellissimo. Un maschio, con la caratteristica barra rossa sotto il becco.
 E stava guardando lui.
Tutto avvenne in una manciata di secondi, il tuffo al cuore, il battito cardiaco accelerato.
"Non avere mai fretta di scattare, aspetta", gli avevano insegnato, ma quelle parole non gli attraversarono nemmeno per un istante il cervello.
Ruotò di pochi gradi il teleobiettivo, inquadrò e premette il pulsante. Il rumore dell'otturatore venne avvertito dal Picchio, che si involò. Ma lui riuscì a fargli quattro scatti. Solo quattro.









Tornando a casa si sentiva ancora agitato ed emozionato, pensava a quanto tempo era durato tutto, 4 scatti a otto foto al secondo fanno mezzo secondo, più forse un altro secondo o due dal momento in cui lo aveva visto. Due secondi di estasi allo stato puro.
Alla sera rivide le immagini. e decise che le avrebbe fatte stampare. Anche se non erano da National Geographic, anche se non avevano un bello sfondo e l'ultima  aveva le punte delle remiganti tagliate, perchè era davvero vicino.
Curioso come tutte le frustrazioni, le fatiche, le ore spese in appostamento, fossero state spazzate via, cancellate, dimenticate.
In due secondi di estasi.


L'idea di scrivere questa storia (vera) mi è venuta leggendo un articolo di Valerio Brustia in cui l'Autore parla di una vecchia quercia secca e della possibilità di fotografare magari il picchio verde. 
Gli faccio i migliori auguri di riuscire nel suo intento.
Queste sfide non finiscono mai, a me poi è rimasto quel chiodo fisso di fotografare il Verde sul mio albero di cachi. Prima o poi...